L’invasione russa dell’Ucraina costringe a ripensare il tempo che viviamo. Già ci aveva messo in guardia papa Francesco quando, nel 2015, aveva descritto la nostra come “non un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca”.
La guerra ha messo in discussione l’intera organizzazione mondiale: i processi di globalizzazione si erano sviluppati sul principio dell’interdipendenza delle diverse nazioni, soprattutto dal punto di vista economico. Materie prime e prodotti finiti a basso costo importabili dai paesi produttori sembravano poter garantire un equilibrato sviluppo non solo dei paesi avanzati ma anche delle aree più povere del pianeta.
La guerra, concentrata nel cuore dell’Europa, ha rimesso in discussione questi equilibri mondiali: eventi che sembravano cancellati dalla storia dell’umanità come la penuria di generi di prima necessità e carestie, si sono improvvisamente riaffacciati sullo scenario mondiale.
I morti per eventi bellici che da decenni abbiamo osservato con indifferenza quando avvenivano in lontani paesi, oggi sono sempre più vicini alle nostre terre. Lo stupore (e l’ipocrisia) con cui il sistema dell’informazione dà notizia di civili morti in assalti o bombardamenti è la documentazione concreta di come il tempo abbia cancellato ogni adeguato ricordo delle sofferenze passate. E’ nelle guerre dell’antichità che le vittime erano solo i soldati belligeranti, mentre nelle guerre moderne i civili hanno pagato e pagano un contributo pesante (nell’ultima guerra si sono contate più di venti milioni di vittime civili).
Al momento non s’intravvedono iniziative adeguate a porre fine alle ostilità. L’occidente appare unito nell’opposizione all’invasore russo ma è un’unità piena di crepe, a volte vistose.
USA e Gran Bretagna, anche in forza del proprio potente apparato bellico e dell’industria che lo spalleggia, sembrano desiderare una guerra fino alle conseguenze estreme. L’Europa ha scelto principalmente di usare le sanzioni economiche ma il perdurare di queste sta mettendo in seria difficoltà le stesse economie del continente, a partire dalla principale, quella tedesca. Dopo anni una questione sociale sta gradualmente avanzando all’interno di paesi che avevano dimenticato cosa fossero l’inflazione e le sue conseguenze.
E’ lecito chiedersi se questa Unione Europea sia all’altezza delle sfide che ha davanti. Le recenti prese di posizione del Parlamento Europeo sul tema dell’aborto provocate dalla decisione della corte suprema americana, sembrano documentare che nella politica europea sia prevalente ormai la battaglia per i nuovi diritti piuttosto che quella per una maggiore giustizia sociale e la costruzione di equilibrati e rispettosi rapporti internazionali.
Ma c’è anche di più se pensiamo che molti paesi sembrano ormai difendere i propri interessi nazionali piuttosto che una politica europea comune. Così la Germania o i paesi cosiddetti frugali che si guardano bene dal solidarizzare con le realtà più fragili.
E’ probabilmente la fase finale di un progetto europeo che, senza una svolta radicale è destinato a svanire.
L’allontanamento dall’idea originaria dei padri fondatori, il rifiuto di ogni riferimento alle radici giudaico cristiane dei popoli europei (tutti, compresa la Russia, sono figli dell’evangelizzazione cristiana), lasciano l’Europa a corto di strumenti per affrontare il cambiamento d’epoca che è sotto i nostri occhi.
Già nell’ormai lontano 1979, il card. Ratzinger poteva scrivere “non tutta l’unificazione politica ed economica che si realizza in Europa può già significare, in quanto tale, il futuro dell’Europa. Una mera centralizzazione delle competenze economiche o legislative potrebbe anche portare a un rapido declino dell’Europa se, per esempio, sfociasse in una tecnocrazia il cui unico criterio fosse la crescita dei consumi”.
Frasi profetiche, anticipatrici di un processo di disgregazione che avviene sotto i nostri occhi.
Silenziosamente, quasi di nascosto, pare anche rinascere, in molti influenti circoli internazionali, la concezione razionalistica della guerra come unica soluzione dei conflitti tra le nazioni.
La sfida è di alto livello. Non c’è dubbio che forti interessi economici e finanziari hanno interesse a una guerra lunga. Solo la riscoperta di una comune appartenenza umana e la presenza significativa di una cultura cristiana capace di rimettere in ordine i valori della persona può costruire un futuro di pace.